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L’intervista, Francesco Mongelli e il segreto del suo successo L’intervista, Francesco Mongelli e il segreto del suo successo
Gli oltranzisti del “vela sport di squadra” e del “tutti siamo utili, nessuno indispensabile” si rassegnino... L’intervista, Francesco Mongelli e il segreto del suo successo

Key West – Gli oltranzisti del “vela sport di squadra” e del “tutti siamo utili, nessuno indispensabile” si rassegnino: esistono individualità che, per esperienza e innato talento, sono in grado di fare la differenza. Individualità come quella di Francesco Mongelli, navigatore elettronico di latina estrazione che i campi di regata indicano come costante positiva dei team più competitivi.
Team con i quali si cava soddisfazioni non da poco, se è vero che nel solo 2016 ha raccolto una serie di successi che in pochi ottengono nel corso di una carriera.

Con il TP52 Beau Geste ha fatto suo il Campionato Nazionale IRC neozelandese e messo a segno la doppietta al Campionato IRC australiano, dove a finire battuti sono stati i vari Chris Dickson, Rod Dawson, Peter Isler e Brad Butterworth; con il Baltic 130 My Song si è imposto nel Mondiale Maxi, mentre con lo Swan 90 Woodpecker 3 ha dominato la Cruising Division della ARC, finendo sul podio assoluto. Vittoria, quest’ultima, che ha anticipato di poco il vero capolavoro datato 2016: il trionfo overall nella Rolex Sydney-Hobart, vissuta nel ventre del VOR 70 Giacomo, giunto in Tasmania a tempo di record.

Davvero niente male per un velista che, spesi i mitici anni 80 navigando in Europa, è poi migrato verso contesti – altura, monotipia, vela oceanica – nei quali ha creato significative sinergie tra le capacità tecnico/agonistiche maturate tra le boe e le conoscenze derivate da un altra grande passione: quella per l’informatica e l’elettronica in genere. Una migrazione di successo, certificata tra i primi da un certo Brad Butterworth, all’epoca skipper di Alinghi che, al termine di un Mondiale Farr 40 vissuto al fianco dell’allora Gruppo 1 Francesco Mongelli, sentenziò un semplice: “Franz is really good”.

Amico di Zerogradinord sin dalla prima ora, Mongelli, che all’attivo ha undici tutoli iridati, un europeo e sette Nazionali, si è concesso per un’intervista a tutto tondo in quel di Key West dove, tra una crepes e un giro in bici, abbiamo atteso assieme l’inizio delle 52 Super Series 2017.

ZGN: Francesco, sei reduce da un grande successo in acque australiane con la Sydney-Hobart: sappiamo com’è andata a finire, ma com’è stata la regata per te? Hai dovuto improvvisare o le tue previsioni si sono allineate alla realtà?
FM: Fortunatamente il piano che avevamo elaborato è stato rispettato ed ha funzionato: la fortuna è stata proprio quella, cioè il fatto che la previsione ha combaciato con la realtà. Abbiamo quindi lasciato poco al caso e ci siamo mossi seguendo la “playlist” iniziale.

ZGN: Ti aspettavi una regata così veloce, andando sotto il record, o è stata una sorpresa?
FM: La nostra idea di partenza era: se riusciamo ad arrivare a Tasman Island entro questa data ora, abbiamo la possibilità di fare il record, altrimenti incontreremo condizioni sfavorevoli e vento in diminuzione nelle ultime 40 miglia: metterci dieci ore a percorrerle, anziché quattro come è successo a noi, avrebbe sicuramente compromesso il record.

ZGN: Arrivavi da un altro successo, con Alberto Rossi nella ARC: cosa ci racconti della regata transatlantica a bordo dello Swan 90 Woodpecker Cube?
FM: Regata molto, molto più comoda! La marineria ha prevalso a bordo, abbiamo avuto alcuni imprevisti e delle avarie, tra cui la più importante la rottura della losca del timone, imprevisto che poteva avere conseguenze pericolose. Abbiamo anche pensato di ritirarci, quando dopo una settimana di navigazione il problema al timone sembrava mettere a rischio la buona riuscita della traversata. Quando sei sul punto di ritirarti, e noti che il porto più vicino è Capo Verde, a quattro giorni di navigazione, ragioni profondamente su come procedere. Nonostante questa scelta difficile da prendere, l’imprevisto è stato gestito in maniera impeccabile dall’equipaggio che ha saputo reggere bene quei momenti, riconoscendo quando era necessario rallentare per motivi di sicurezza. La riparazione, materialmente effettuata da Matteo Mason con grandi doti di marineria, ha funzionato alla perfezione ed ecco che siamo arrivati nelle acque caraibiche.

ZGN: La ARC è una regata molto lunga, cosa ci dici in merito alle condizioni meteo? Come ti sei mosso, prima della partenza ed in navigazione, per l’elaborazione delle previsioni meteo?
FM: Le previsioni meteo e le decisioni erano molto condivise dall’equipaggio. La situazione è sempre stata abbastanza chiara e la scelta tattica è stata sostanzialmente solo una: eravamo una barca di “media” velocità, nel senso che i due VOR 70 e Rambler 88 erano per noi pressoché imprendibili e le previsioni individuavano chiaramente una zona di bassa pressione sulla rumbline. La decisione era: la lasciamo a destra o sinistra? Dai nostri calcoli, risultava sempre vantaggioso lasciarla a sinistra, fino a quando, un giorno prima che la manovra fosse effettivamente completata, si è aperto un utile passaggio a sud: a quel punto, anche se entrambe le strade erano percorribili, abbiamo scelto di continuare le nostra rotta, tenendoci a nord. E’ stata una decisione basata principalmente sulla statistica e quindi sulla convenienza.

ZGN: Sei uno dei pochi navigatori “latini” in un mondo che finora è sempre stato dominato dagli anglosassoni. Credi che il tuo carattere, modo di fare e personalità, possano influire sul tuo lavoro? L’arte dell’arrangiarsi tipica italiana riesce a darti qualcosa in più?
FM: La vela off-shore è uno sport che, in media, insegna a tutti, anglosassoni e non, a sfruttare al massimo ciò che il mare e il vento offrono. Dal mio punto di vista è molto bello essere riconosciuto come un buon navigatore, anche se il gruppo di navigatori mediterranei inizia a essere ormai folto. Quello che di solito per noi è un limite, è la lingua: l’inglese diventa veicolo fondamentale e non sempre è facile concentrarsi sulla strategia e sulla lingua insieme.

ZGN: Il lavoro del navigatore non è solo pre-partenza e lay lines: la conoscenza della barca e dei sistemi di bordo è per te essenziale. Cosa ci dici a riguardo?
FM: I risultati arrivano se la barca è preparata bene: la preparazione è una parte essenziale, ma l’altra componente importante, tipica dell’arte “velica” e quella su cui adoro concentrarmi perché mi affascina sempre, è il capire come e perché a volte la realtà si discosti dalla previsione. Riuscire a capire questi elementi, per quanto difficili ma allo stesso tempo affascinanti, può essere determinante ai fini del successo.

ZGN: TP52: sei navigatore di Bronenosec, cosa ci dici circa i lavori che sono stati effettuati tra la fine della stagione 2016 e l’inizio del 2017, in vista di Key West e Miami? Qual è stato il tuo contributo?
FM: Io innanzitutto devo fare in modo che l’elettronica di bordo sia un vantaggio e non un vincolo, per cui è lì che concentro molta attenzione. Con il resto dell’equipaggio abbiamo valutato le performance della stagione passata, cercando di evidenziare punti di forza e di debolezza, ed io, dalla mia, contando un po’ anche sull’esperienza che ho alle spalle, cerco di dare una spiegazione “numerica” ad alcuni dei “perché?” che emergono. Il grande lavoro sta poi nel miglioramento del disegno delle vele, al set up dell’albero e del rig… I fornitori propongono le loro nuove soluzioni e lì c’è da decidere se rischiare o meno.

ZGN: Come prosegue lo sviluppo del Sailing Performer?
FM: Quello che ho fatto funziona bene ed io continuo ad utilizzarlo, ma l’ho tolto dal commercio perché era un impegno troppo grande verso gli altri utilizzatori. Ho poco tempo libero ultimamente e quello che ho voglio dedicarlo alla mia famiglia, per questo non posso più seguirlo su larga scala. Ci sono degli amici che lo utilizzano ed è sempre piacevole scambiare opinioni con loro circa l’utilizzo del software, ma dedicarlo ad un pubblico più vasto diventa troppo impegnativo.

ZGN: America’s Cup, le nuove barche foiling. Il ruolo del navigatore resta lo stesso, dovendo solo ragionare più velocemente, o qualcosa è cambiato?
FM: Il navigatore, secondo me, è un ruolo che nell’America’s Cup non c’è più, sparito. L’unico che continua a lavorare con team di Coppa America è Juan Villa, ma più per la sua abilità come meteorologo, che per dare opinioni a bordo. L’America’s Cup è uno sport diverso da com’era una volta, non c’è più “l’orchestra” di bordo, in cui il successo dipendeva dal lavoro di tanti. Le Louis Vuitton Series fatte con gli ACC Versione 5 sono state per me grande esempio di marineria, bellissima espressione della vela classica, in cui il valore del singolo era essenziale per tutto il gruppo. La vela non è solo velocità: andare a 40 nodi è sicuramente entusiasmante, ma la vela come la intendo io ha un fascino in più. Quello dell’America’s Cup è diventato un mondo a sé stante, non ci sono più le superstar della vela com’era una volta.

ZGN: Non ti sembra che a volte ci si prenda troppo sul serio nel mondo della vela?
FM: Beh, a volte sono costretto a essere troppo serio, per quella che è la mia indole. In alcune classi più che in altre la professionalità è condizione fondamentale, ma bisognerebbe sempre essere in grado di scherzare e rimanere concentrati allo stesso tempo. Bisogna però stare attenti che lo scherzo di uno non sia di distrazione per il resto dell’equipaggio.

ZGN: Uno dei tuoi rimpianti è il FastNet. Perché?
FM: È stata una bella esperienza, estremamente divertente, a bordo di un Class 40, ma persa in volata, a 50 metri dalla linea d’arrivo: quasi ancora non me ne capacito. Alla luce di ciò grande è il desiderio di rivalsa: non la considero certo una partita chiusa.

ZGN: Inizi ad avere un buon numero di esperienze in oceano: come vedresti l’idea di farne una in solitario?
FM: È sicuramente affascinante, ma non adatta a me in questo momento: ad oggi, voglio fare il papà ed essere presente per la mia famiglia, mia moglie ed i bambini. Dedicare due anni a un’avventura come potrebbe essere la Volvo Ocean Race o un giro del mondo sarebbe fantastico, ma non in questo momento. Già oggi sono molto impegnato fuori di casa, e invece voglio esserci, in questo momento in cui i bambini stanno crescendo.

ZGN: I tuoi figli vanno in barca?
FM: No, o per lo meno, non ancora. Voglio che venga da loro, anche se sicuramente mi piacerebbe facessero delle esperienze a vela, più per gli insegnamenti che dà, che per la disciplina in sé. La vela crea un rapporto speciale con la natura, ma anche con se stessi, insegna a capire quanto il mare sia potente, che bisogna rispettarlo ma senza temerlo. La barca è una scuola di vita unica, farò di tutto affinché, a prescindere dalla vela, i miei figli abbiano un buon rapporto con il mare.

MM&SG

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