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Venticinque anni fa, un’altra America’s Cup Venticinque anni fa, un’altra America’s Cup
4 febbraio 1987: un giorno stampato indelebilmente nelle menti di tutti coloro che hanno goduto della grande estate australiana fatta di divertimento, sole e... Venticinque anni fa, un’altra America’s Cup


Video courtesy America’s Cup.

Fremantle – 4 febbraio 1987: un giorno stampato indelebilmente nelle menti di tutti coloro che hanno goduto della grande estate australiana fatta di divertimento, sole e regate della Coppa America, in quel tempo di scena a Fremantle. E’ in quel giorno che si è conclusa l’edizione da molti giudicata come la migliore di sempre. Fu in quel momento che Dennis Conner e il suo equipaggio dimostrarono di essere invincibili.

All’inizio di quell’estate ci furono momenti in cui la situazione sembrava essere in dubbio. Non nel corso dei primi tre round robin, quando furono superati unicamente da America II, lo scafo del New York Yacht Club, ma nel turno successivo, quando persero quattro delle undici regate disputate. Nel terzo Stars&Stripes battè due dei migliori del turno precedente, Canada II e America II, ma persero con l’innovativa USA di Tommy Blackaller e contro gli inarrestabili kiwi che con K27, la prima barca costruita in fibra di vetro, vantavano uno score di trentatre vittorie e una sconfitta.

Il costante miglioramento delle performace di Stars&Stripes fu uno degli argomenti di un’estate caratterizzata da condizioni meteo difficili: con il passare dei giorni, infatti, l’intensità del Fremantle Doctor andava via via aumentando. Dennis Conner e i suoi si erano preparati a dovere nel mare delle Hawaii e avevano curato la messa a punto della barca proprio in vista di mare grosso e vento forte.

Il 13 gennaio si erano però sollevati dubbi sulle potenzialità di Stars&Stripes. Avrebbero potuto superare i kiwi (ora forti di un 37 a 1 dopo aver superato French Kiss nelle semifinali) nella finale della Louis Vuitton Cup? Conner contro Dickson, ovvero 13 anni di esperienza sui 12 Metri S.I. contro appena 13 mesi, si risolse in un batter d’occhio. Solo in una regata, grazie al cedimento di una parte dell’attrezzatura si Stars&Stripes, KZ7 riuscì a cogliere il successo. Un duello memorabile, che vide le barche virare ben cinquantacinque volte in un solo lato di bolina.

Mentre KZ7, spinto da pressioni politiche, aiutò il defender Kookaburra III a preoparare la difesa, Conner mise i suoi occhi sul corredo vele degli altri team statunitensi, in cerca di possibili “elisir” di velocità. Il talento statunitense si fece dare due rande dallo storico rivale Tom Blackaller e alcuni spi da arie leggere da America II. Niente fu trascurato per garantire a Stars&Stripes le chance di vittoria.

Dickoson dichiarò poprivatamente che non vedeva alcun ostacolo al successo di Conner: KZ7 era superiore sotto ogni punto di vista a Kookaburra III, ma questa informazione rimase a lungo segreta, anche se in molti iniziarano a dubitare subito circa le reali potenzialità del Defender. Iain Murray e il suo timoniere di partenza, Peter Gilmour, avrebbero scoperto in pochissimo tempo la dura verità.

Stars&Stripes era stata costruita pensando alla velocità, mentre l’altra strizzava l’occhio alla battaglia ravvicinata. Fu Dennis a dettare la strategia del confronto: si tenne lontano da Peter Gilmour nelle fasi di pre-start e riuscì a garantirsi il lato favorevole del campo di regata. Una volta in regata, Stars&Stripes bruciò l’avversario in velocità, lasciando Iain Murray al palo. La storia racconta che il team di Conner girò tutte le boe al comando.

Stars&Stripes vinse tutte le regate, con un margine che non fu mai inferiore a un minuto e dieci secondi. L’America’s Cup si preparava a tornare a casa.

Nel corso di quell’estate, nel Challenger Harbour, fu un continuo via vai di supporter e di bandiere australiane. Migliaia furono quelle che sventolarono per accogliere il ritorno del Defender sconfitto. La folla non mancò di dare il suo saluto anche ai vincitori. Quando Stars&Stripes fece il suo ingresso, venne srotolato uno striscione sul quale c’era scritto: “Well done Dennis: you bastard”.

Bob Fisher

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